Onorevoli Colleghi! - La povertà è un fenomeno sociale diffuso in Italia che presenta dati allarmanti. L'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), con riferimento all'anno 2000, aveva calcolato che nel nostro Paese i poveri erano quasi 8 milioni, il 13 per cento degli italiani, il 12,3 per cento delle famiglie; mentre il Mezzogiorno rimaneva la terra del maggior numero di bisognosi, con il triste primato del 63 per cento delle famiglie povere, il fenomeno era in aumento tanto al nord (dove le famiglie povere erano passate dal 5 per cento al 5,7 per cento) quanto al centro (dall'8,8 per cento al 9,7 per cento); soprattutto dopo l'introduzione dell'euro, tali percentuali sono state non solo confermate, ma registrano una preoccupante tendenza all'aumento.
      Il primo passo per l'elaborazione di una strategia efficace di lotta a tale fenomeno è quello di misurarne l'entità, di individuarne le cause effettive e quindi di procedere all'individuazione dei mezzi più efficaci per fare fronte a questa piaga sociale.
      Per queste e altre ragioni si chiede, dunque, con la presente proposta di legge, l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta che faccia luce sulla reale natura e portata del fenomeno della povertà in Italia, al fine di attuare un'opportuna politica di sostegno e di aiuto sostanziale al popolo degli indigenti.
      Generalmente le dimensioni della povertà vengono calcolate sui livelli di reddito o di consumo, per cui una persona viene considerata povera se i suoi livelli di reddito o di consumo sono inferiori a un livello considerato quello minimo necessario a soddisfare le necessità di base, denominato «linea di povertà». Questo livello muta a seconda delle condizioni storiche e geografiche, dei tempi e delle

 

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tradizioni sociali e culturali; per questo ogni Paese utilizza proprie «linee di povertà».
      In Italia si considera povera una famiglia di due persone che spende meno di 750 euro al mese, cioè la somma che normalmente spende in media una persona. Più precisamente si distinguono le «famiglie sicuramente non povere», intendendosi per tali quelle che hanno una capacità di spesa superiore di almeno il 20 per cento alla soglia di 750 euro al mese; le «famiglie quasi povere», che si trovano immediatamente sopra la linea di povertà; «i nuclei appena poveri», che sono coloro che stanno sotto la linea di povertà, ma non versano in condizioni di indigenza; e infine le «famiglie sicuramente povere», che sono quelle che spesso non riescono ad arrivare alla fine del mese.
      Chi sta sotto questa soglia si trova in condizioni di povertà assoluta, non riuscendo praticamente ad acquistare neanche i beni e i servizi considerati essenziali per una vita dignitosa e normale. Nel 2000, versavano in questa situazione 24.000 famiglie, 2.937.000 persone, il 5,1 per cento degli italiani, il 4,3 per cento delle famiglie.
      Condizioni di vita inaccettabili che creano emarginazione e isolamento, che allontanano i «poveri» dai legami più classici e significativi, quali la famiglia, la scuola, il lavoro, che ne fanno delle persone «di serie B», staccate dal tessuto sociale, spesso inevitabilmente attratte dal mondo della criminalità e dalle realtà sociali più distorte, degradate e degradanti.
      Trovare margini di soluzione al fenomeno della povertà significa, infatti, anche assicurare alla società minori rischi in termini di sicurezza e di qualità della vita, allontanando i meno fortunati dalle più allettanti tentazioni antisociali.
      Significa prevedere interventi che hanno l'obiettivo di incidere direttamente sui comportamenti e sulle cause che determinano le situazioni osservate di povertà.
      Anche l'Europa ha preso coscienza della gravità, della complessità e dell'urgenza del problema, al punto da riconoscere la necessità di inserire la lotta alla povertà tra gli obiettivi strategici primari di ogni Governo.
      Tristemente bisogna rilevare l'inesistenza, o per lo meno l'inefficacia, delle politiche governative degli ultimi anni, che al di là dei proclami e delle demagogie non hanno previsto intervento alcuno a favore del grande dramma dei poveri, che stazionano in fondo alla scala del benessere, lontani dai pur minimi livelli di vivibilità e di dignità sociale.
      Anche se, secondo i dati ISTAT, l'incidenza della povertà relativa è sostanzialmente stabile, è significativo scoprire che l'indigenza si concentra comunque e prevalentemente nel sud, nelle famiglie numerose e in quelle con anziani; è inaccettabile dover ammettere che l'avere tre figli o un anziano a carico sia oggi un fattore che determina un alto rischio di povertà.
      È una questione eminentemente politica, si tratta di decidere quale società si vuole incoraggiare: quella dei single, della natalità zero, dei due stipendi destinati alla soddisfazione dei lussi e degli sfizi o quella di chi non si piega alla logica dell'individualismo consumista e responsabilmente si fa carico di una famiglia, di due o tre figli, e magari dei nonni? E se comunque non si vuole, come è giusto, penalizzare nessuna scelta, non si può non domandarsi, ad esempio, chi pagherà domani le pensioni di questi «giovani rampanti» di oggi.
      Sul fatto che si tratti di un problema politico concorda anche la Chiesa, che attraverso suoi qualificati rappresentanti e organismi richiama periodicamente la politica ad affrontare questo «spaccato» inquietante della società italiana. Queste sono le motivazioni della presente proposta di legge, che si sottopone all'attenzione del Parlamento.
 

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